13 Apr Concorso 2011 – Traccia inter vivos: cosa ne penso!
23 febbraio 2001: Traccia in materia di atto tra vivi (Concorso D.D.G. 28 dicembre 2009 pubblicato nella G.U. n. 3 del 12 gennaio 2010 – 4° serie speciale)
Tizio e Caio si accordano per il trasferimento (da Tizio a Caio) di un appartamento in Roma via Margutta n. 10, sottoposto a vincolo ex d.lgs n. 42/04 (debitamente notificato e trascritto). Il prezzo è concordato in euro 1.500.000,00, di cui euro 150.000,00 da versarsi subito quale caparra confirmatoria, ed euro 1.350.000,00 al momento in cui, decorso il termine per l’esercizio del diritto di prelazione ex art. 60 d.lgs 42/04, venga stipulato un atto ricognitivo (non più tardi di 15 giorni dalla data di scadenza del termine per l’esercizio della prelazione) con il quale si dia atto del trasferimento della proprietà, venga trasferito il possesso, effettuato il pagamento del saldo e corrisposte le imposte dovute. Caio non intende accantonare il corrispettivo della vendita o pagarlo immediatamente, perchè si ripromette di adempiere al momento in cui sia definita un’operazione di finanziamento con Banca Alfa (che si garantirà su titoli di proprietà di terzi). Tizio chiede una fidejussione che garantisca il pagamento del corrispettivo nei termini stabiliti in modo certo e senza possibilità di eccezione. Caio può offrire soltanto una semplice fidejussione di terzi. Tizio allora chiede al Notaio di garantire almeno il ritrasferimento del bene e l’incameramento della caparra in caso di mancato pagamento. Il Notaio RR con sede in Roma, rilevata l’insufficienza della fidejussione proposta da Caio riceva l’atto pubblico adottando la soluzione più convincente per realizzare la volontà delle parti. Il candidato motivi l’impostazione dell’atto, tratti brevemente della fidejussione a prima richiesta e del contrato autonomo di garanzia, tratti quindi della condizione di inadempimento e della vendita di immobile con riserva di proprietà.
La traccia è solo apparentemente semplice, ma nasconde alcune insidie, e presuppone una buona padronanza di quasi tutti gli istituti fondamentali nella dottrina del contratto in generale.
In questo caso, ancor più che nella generalità dei casi, diventa fondamentale l’attenta lettura per intero: emergono, nelle righe successive, elementi che inducono a modificare la soluzione che appare preferibile a prima lettura.
L’inciso iniziale, secondo cui Tizio e Caio “si accordano per il trasferimento”, potrebbe far pensare ad un contratto preliminare di compravendita, ma tale idea dev’essere fugata considerando il prosieguo della traccia: si fa riferimento, in particolare, al decorso del termine per l’esercizio della prelazione storico-artistica, per cui non può trattarsi di contratto preliminare, non soggetto a tale prerogativa dello Stato, ma deve trattarsi di un contratto immediatamente traslativo, e non può che essere una compravendita.
Il bene è soggetto a vincolo d’interesse storico – artistico. Essendo esso nella titolarità di un privato, deve presupporsi che sia già avvenuta la dichiarazione di cui all’art. 13 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali), e che sia stata trascritta nei registri immobiliari di competenza. E’ bene far emergere tale circostanza dalla premessa dell’atto o nella descrizione, in quanto per i beni di proprietà privata essa è “costitutiva” del vincolo e non meramente dichiarativa, per cui in assenza il bene sarebbe “libero”.
Il negozio, in quanto tale, non richiede alcuna autorizzazione preventiva (obbligatoria soltanto per le alienazioni di enti pubblichi o di enti non aventi scopo di lucro, artt. 55-56 Codice Beni Culturali), ma è soggetto, come tutte le alienazioni, alla denuncia al Ministero per tramite della competente Soprintendenza, da effettuarsi entro trenta giorni, con le indicazioni di cui all’art. 59, quarto comma, Codice beni culturali. Si tratta di indicazioni tutte comprese nell’atto, per cui può essere opportuno soltanto far emergere l’eventuale elezione di domicilio delle parti per le comunicazioni. La denuncia è onere dell’alienante, ma può essere affidata al notaio rogante, come di regola accade.
La compravendita, in quanto alienazione a titolo oneroso, è soggetta alla prelazione dello Stato o, in subordine, della Regione o degli altri enti pubblici territoriali interessati (art. 60, primo comma, Codice dei Beni culturali). Tale prelazione può essere esercitata entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto (denunzia), e nel periodo medesimo l’atto resta sottoposto alla condizione sospensiva legale del mancato esercizio (art. 61, quarto comma, Codice beni culturali). Si deve ricordare, inoltre, che nella pendenza è vietata la consegna della cosa. Di ciò si deve assolutamente dare evidenza nella clausola del possesso, essendo dunque limitate non solo l’immissione in possesso giuridico, ma anche la dazione della mera disponibilità materiale.
Va ricordato, in conclusione, anche ai sensi dell’art. 164 (Violazioni in atti giuridici) del Codice dei Beni culturali, le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli e resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione.
Quindi, primo elemento da inserire è la condizione sospensiva legale del mancato esercizio della prelazione.
Veniamo ora alle pattuizioni della compravendita.
La traccia chiede che un decimo del prezzo (Euro 150.000) sia immediatamente versato, a titolo di caparra confirmatoria: pertanto, occorre chiarire le sorti di tale versamento, specificando la disciplina di cui all’art. 1385 c.c., ed aggiungendo la precisazione che, in caso di regolare adempimento, tale caparra non sarà restituita ma varrà altresì quale acconto sul prezzo.
Per la parte restante, (Euro 1.350.000,00), va prevista una dilazione di pagamento al momento del decorso del termine per la prelazione: l’atto è sottoposto a condizione sospensiva legale, che sarà oggetto di annotazione nei registri immobiliari; pertanto, per l’annotazione del mancato verificarsi della condizione (ossia il mancato esercizio della prelazione), occorre una dichiarazione, anche unilaterale, della parte in danno della quale la condizione sospensiva si è verificata (art. 2668, terzo comma, c.c.). Si ricorre, di regola, ad un verbale notarile di avvera mento della condizione. La traccia chiede che sia già fissato il termine per tale verbale in 15 giorni dalla data di scadenza del termine per l’esercizio della prelazione.
In tal sede:
– si dà atto del trasferimento della proprietà;
– si consente al trasferimento del possesso, ed invero anche della detenzione, essendo vietata anche la sola consegna materiale prima del decorso dei termini di prelazione (art. 61, quarto comma, Codice dei beni culturali);
– si procede al pagamento del saldo con rilascio della quietanza;
– si riscuotono le imposte dovute. L’art. 27, primo e secondo commi, del D.P.R. 131/86 (Testo Unico in materia di imposta di registro), relativamente agli atti sottoposti a condizione sospensiva, dispone che gli stessi sono registrati nel termine ordinario con il pagamento dell’imposta fissa di registro, salva la riscossione, a seguito del verificarsi della condizione sospensiva, della differenza tra l’imposta dovuta e quella pagata in sede di registrazione, a cui e’, da dottrina e giurisprudenza assolutamente prevalenti, attribuita natura di imposta complementare. La norma va coordinata con quella contenuta nell’art. 19 T.U., ai sensi del quale le parti contraenti o loro aventi causa, e coloro nel cui interesse e’ stata richiesta la registrazione, devono denunciare entro venti giorni all’ufficio che ha registrato l’atto l’avveramento della condizione sospensiva.
Nell’atto di compravendita occorre dare evidenza di quanto segue:
– La consegna anche solo materiale non può avvenire, ma dev’essere rinviata al decorso del termine ed al verificarsi della condizione sospensiva legale;
– Il prezzo per 1.350.000 va dilazionato a tale medesimo momento;
– Non è opportuno rinunziare senz’altro all’ipoteca legale, ma è preferibile lasciare “aperta” la volontà dei comparenti, sussistendo un’ingente dilazione di pagamento.
Per il prezzo va inserita la dichiarazione di cui alla l. 248/06 (Legge Bersani), anche per la dilazione. Quanto a quest’ultima, non sembra strettamente necessario ripetere in atto l’esigenza di Caio di attendere la conclusione del finanziamento di cui parla la traccia.
Veniamo ora alle garanzie richieste da Tizio per accettare la dilazione del pagamento.
Egli chiede una fidejussione senza possibilità di eccezione: come noto, la fidejussione si caratterizza per il vincolo di accessorietà con l’obbligazione principale; il fideiussore, cioè, può opporre al creditore tutte le eccezioni che può opporre il debitore principale (artt. 1941 ss. c.c.). Il massimo limite che si può porre a tale caratteristica è previsto dalla legge nella c.d. clausola solve et repete, ossia la specifica pattuizione con cui le parti rafforzano il vincolo, stabilendo che una di esse non possa opporre eccezioni nel ritardare la prestazione (art. 1462 c.c.): in altri termini, la parte a carico della quale è posta la clausola è obbligata al pagamento o alla dazione di quanto dovuto (solve) e solo in un secondo momento potrà opporsi, chiedendo indietro quanto in prima battuta dato o versato (repete). Non si crea, cioè, un vincolo astratto, ma si realizza un’astrazione processuale: l’obbligato è tenuto ad adempiere (qui la momentanea astrazione), salvo poi far valere la causa sottostante con la restituzione.
Non v’è spazio, dunque, per un contratto autonomo di garanzia, figura di cui si chiedeva di parlare in parte teorica. Tale figura, infatti, non è autentica fidejussione: essa si caratterizza per la presenza di un rapporto obbligatorio preesistente in relazione al quale il garante si impegna a pagare una somma predeterminata in caso di inadempimento, anche se il titolo costitutivo del debito principale sia nullo, annullabile, rescindibile, nonché inesistente. Dal punto di vista funzionale esso tende a tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile. In ciò risiede la prima differenza con il contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui, dato che vi è identità tra la prestazione del debitore principale e la prestazione dovuta dal garante. Il fideiussore è un vicario del debitore, mentre nel contratto autonomo di garanzia l’obbligazione del garante si pone in maniera del tutto autonoma, appunto, rispetto all’obbligo primario di prestazione, e ciò sotto due profili: quello qualitativo in quanto essa non è necessariamente sovrapponibile al debito principale e soprattutto non è rivolta all’adempimento del medesimo debito principale; inoltre, tende ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata che ha la funzione di sostituire la mancata o inesatta prestazione del debitore. La giurisprudenza ha avuto interpretazioni non sempre univoche sul tema del rapporto tra fideiussione con clausola solve et repete e Garantievertrag. Quest’ultimo è caratterizzato dall’impegno del garante a pagare illico et immediate, senza alcuna facoltà di opporre al creditore/beneficiario le eccezioni relative ai rapporti di valuta e di provvista, in deroga agli artt. 1936, 1941 e 1945 c.c., caratterizzanti, di converso, la garanzia fideiussoria.
L’autonomia del contratto autonomo deriva, quindi, dalla circostanza che, salva una diversa previsione dei contraenti, non si applica la norma di cui all’art. 1957 c.c. sull’onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, atteso che su detta norma si fonda l’accessorietà dell’obbligazione fideiussoria, instaurando essa un collegamento tra la scadenza dell’obbligazione di garanzia e quella dell’obbligazione principale.
Ostacolo all’ammissibilità del contratto autonomo di garanzia è stato ravvisato proprio nell’art. 1462 c.c., che stabilisce la nullità delle clausole che escludono la proponibilità delle eccezioni di nullità, di annullabilità e di rescissione del contratto. Le perplessità maggiori in sostanza riguardano l’inammissibilità di ammettere un negozio che possa giustificare spostamenti patrimoniali privi di causa. Al riguardo parte della dottrina ricorre alla figura del negozio con causa esterna. Altri autori, invece, ritengono sufficiente trovare in esso la dichiarazione dello scopo di garanzia per renderlo causale, e che le parti facciano riferimento ad un rapporto fondamentale, che deve aver avuto luogo, e che valga a giustificare l’obbligazione del garante; inoltre, si fa anche presente che il beneficiario che ha escusso la garanzia resta comunque esposto ad una condictio indebiti a favore del garante o del terzo per il recupero di quanto abbia ricevuto in eccesso, in base sia al rapporto sottostante, che all’alea di perdite incolpevoli lecitamente trasferite sul garante attraverso la garanzia.
La Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite, ha affermato la validità del contratto autonomo di garanzia, espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., riscontrando, inoltre, che la causa concreta di esso è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole, oppure no, del debitore principale. In precedenza aveva chiarito che il garante avrebbe potuto in ogni caso sollevare l’eccezione di inesistenza del contratto principale, della nullità dello stesso per contrarietà a norme imperative o per illiceità della sua causa, tendendo altrimenti il contratto di garanzia ad assicurare un risultato che l’ordinamento vieta ed infine dell’esecuzione fraudolenta od abusiva, rientrando in quest’ultima ipotesi anche il caso di adempimento dell’obbligazione principale, se il garante ha fornito prova liquida ed incontestabile di detto adempimento.
La traccia chiede però proprio una “fidejussione senza eccezioni”. E’ possibile accontentarla?
Sembrerebbe di no: come visto, il contratto autonomo di garanzia è causalmente diverso dalla fidejussione, e non sembra dunque utilizzabile; inoltre, volendo ricorrere a una fidejussione, la clausola solve et repete non ha comunque effetto per le eccezioni di annullabilità, nullità e rescissione del contratto, per cui non risponderebbe alla richiesta.
Inoltre, la traccia stessa specifica che Caio non è disposto a rendere fidejussioni senza eccezioni, ma solo semplici ed invoca diverse soluzioni da parte del notaio, rilevata l’insufficienza della fidejussione.
Veniamo allora alle ulteriori richieste: Tizio allora chiede al Notaio di garantire almeno il ritrasferimento del bene e l’incameramento della caparra in caso di mancato pagamento.
1) Ritrasferimento del bene. Come ottenerlo?
Qui, anche intelligentemente valorizzando le richieste di parte teorica, si potrebbe ricorrere a diversi strumenti.
a) Vendita a rate con riserva della proprietà (artt. 1523 ss. c.c.).
Con tale strumento, previsto per le vendite mobiliari ma pacificamente applicabile alle vendite immobiliari, si fornisce una speciale garanzia al venditore, il quale resta formalmente titolare della proprietà fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo. Il caso di specie, in effetti, si presta ad una configurazione di vendita rateizzata. Tale istituto però non sembra rispondere alla richiesta: secondo la dottrina prevalente – ancorchè non unanime – il diritto di proprietà, nella vendita con riserva, non si trasferisce al compratore fino al pagamento dell’ultima rata (art. 1523 c.c.), restando piuttosto in capo al venditore a titolo di di garanzia, per cui in caso di inadempimento non si verifica alcun ritrasferimento, ma soltanto lo scioglimento, per risoluzione, del contratto ad effetti obbligatori concluso. Anche il regime pubblicitario prevede l’annotazione della riserva di nomina, da cancellare, con opponibilità del trasferimento, solo al pagamento dell’ultima rata con contestuale quietanza, sfruttando i meccanismi previsti per la condizione sospensiva (art. 2668, terzo comma, c.c.). Pertanto, questa figura non risponde alla testuale richiesta della traccia di assicurare il “ritrasferimento”, presupponendo il trasferimento al compratore del diritto di proprietà.
b) Pactum de retrovendendo. Questa fattispecie, che configura un obbligo convenzionale a contrarre, e precisamente a ritrasferire, a carico del compratore, determina la necessità di un nuovo consenso perché si realizzi il trasferimento, esattamente come un contratto preliminare. Nel caso di specie, il compratore dovrebbe assumere l’obbligo di ritrasferire alla condizione sospensiva dell’inadempimento. Non si tratterebbe, si badi, di una “controvendita”, in quanto il venditore (in quella sede compratore) non sarebbe tenuto a pagare alcun prezzo al compratore (in quella sede venditore): il ritrasferimento costituirebbe mero adempimento (c.d. pagamento traslativo) di un obbligo accessorio alla vendita, assunto a “garanzia” della restituzione del bene, per evitare il ricorso al rimedio risolutivo giudiziale.
Con la trascrizione (art. 2645 bis c.c.) si potrebbe anche evitare il danno derivante da trascrizioni medio tempore a carico del compratore (mediante il c.d. effetto prenotativo della trascrizione del preliminare). Lo strumento però mal si adatta alle richieste della traccia: Tizio vuole che gli sia garantito il ritrasferimento in caso di inadempimento, e l’obbligo preliminare determina comunque la necessità di un nuovo consenso da parte del compratore Caio. Non si avrebbe, dunque, un ritrasferimento immediato, ma solo un obbligo a ritrasferire, condizionato all’inadempimento del compratore: in caso di rifiuto del consenso da parte di Caio, Tizio sarebbe comunque costretto a ricorrere ad un giudizio, per ottenere l’esecuzione in forma specifica (art. 2932 c.c.). In conclusione, il patto di ritrasferimento garantisce Tizio, ma non scongiura la necessità del ricorso a tutele giudiziali: sembra pertanto non rispondente alla complessiva esigenza di Tizio di ottenere la restituzione senza ricorrere al rimedio giudiziale. Occorre dunque verificare se esistano strumenti più “immediati” che prescindano da una nuova prestazione di consenso.
c) Patto di opzione. Il patto di opzione risolverebbe un problema: con esso il compratore Caio si troverebbe già esposto ad una proposta di ritrasferimento a favore del venditore Tizio, per cui quest’ultimo, esercitando il diritto potestativo di accettare, tornerebbe proprietario senza necessità alcuna di un intervento della controparte. Si eviterebbe, dunque, la necessità di un nuovo consenso di Caio. Anche l’opzione dovrebbe essere, naturalmente condizionata all’inadempimento di Caio. Si tratta, in ogni caso, non di opzione di compravendita, perché come abbiamo detto Caio non vende a Tizio, ma di un negozio preparatorio al ritrasferimento, ad un pagamento traslativo. L’opzione però, presenta un problema che impedisce di accoglierla: non è soggetta ai meccanismi della pubblicità immobiliare. Anche se la dottrina non ha mancato di evidenziare la somiglianza tra un preliminare unilaterale ed un patto di opzione, la giurisprudenza pacificamente esclude la trascrivibilità di quest’ultima. Pertanto, eventuali trasferimenti o alienazioni di diritti medio tempore perfezionati da Caio pregiudicherebbero l’oblato Tizio, il quale al più potrà agire in via risarcitoria verso Tizio, e verso il terzo contraente per lesione del credito (art. 2043 c.c.). In altre parole, l’opzione non è idonea a “garantire il ritrasferimento del bene”.
d) Clausola risolutiva espressa. Tale rimedio disciplinato all’art. 1456 c.c. è un’ipotesi di regolamentazione convenzionale della risoluzione per inadempimento. Con esso, la risoluzione si verifica di diritto ove, a seguito dell’inadempimento, la parte interessata (nel nostro caso Tizio) dichiari di volersi avvalere della clausola. All’esito, il contratto è risolto senza necessità di ricorso all’autorità giudiziaria, e con gli effetti di cui all’art. 1458 c.c.. Proprio quest’ultimo aspetto rende non ideale la soluzione. La risoluzione per inadempimento, infatti, ha effetto retroattivo tra le parti (salvo il caso di contratti ad esecuzione continuativa o periodica), ma non pregiudica i diritti eventualmente acquistati dai terzi. Non c’è, dunque, retroattività reale. Questo limite è tipico di tutti i rimedi risolutivi convenzionali, indi anche del recesso o della revoca: essi sono sprovvisti, fino al loro esperimento, di qualsiasi forma di pubblicità; in ogni caso, anche dopo la risoluzione, non sono opponibili neppure in caso di diritti acquisiti da terzi successivamente all’esperimento di essi, almeno fin quando non sia data evidenza nei registri immobiliari della risoluzione con annotazione ai sensi dell’art. 2655, primo comma, c.c.
e) Recesso legale con incameramento della caparra confirmatoria. Stante anche la volontà di “incamerare la caparra”, si potrebbe pensare di non prevedere alcunché, lasciando la tutela di Tizio all’esercizio del recesso legalmente derivante dalla previsione della caparra medesima (art. 1385 c.c.): Tizio, al verificarsi dell’inadempimento, potrebbe cioè far valere il recesso legale ed ottenere la risoluzione con ritrasferimento della proprietà e trattenere quanto ricevuto a titolo di caparra. Anche questa ipotesi però è da scartare, in quanto il recesso legale di cui all’art. 1385 c.c. deriva comunque da un meccanismo di risoluzione convenzionale, ed è fatalmente soggetto alla disciplina dell’art. 1458 c.c.:la risoluzione da esso derivante non sarebbe opponibile a terzi aventi causa da Caio, per cui il rimedio non è idoneo a “garantire il ritrasferimento”.
f) Condizione risolutiva d’inadempimento. La soluzione preferibile appare quella della condizione risolutiva d’inadempimento. Salvo valutarne l’ammissibilità – come faremo a breve – essa presenta tutte le caratteristiche necessarie per realizzare quanto voluto dai contraenti.
La fondamentale differenza rispetto agli altri rimedi risolutori, che rende preferibile questo strumento, riguarda l’opponibilità. I rimedi convenzionalmente introdotti dalle parti, e predefiniti dalla legge in materia di risoluzione per inadempimento (termine essenziale, clausola risolutiva espressa, recesso derivante da caparra confirmatoria), si caratterizzano come visto per l’inopponibilità a terzi. L’art. 1458, secondo comma, c.c. esprime un principio generale, secondo cui la risoluzione non è opponibile a terzi che abbiano acquistato diritti sul bene oggetto del contratto, salvo il rispetto dei principi in materia di trascrizione, ove il bene sia immobile o mobile registrato. Tra le parti, dunque, si ripristina la situazione precedente, ma senza pregiudicare diritti di terzi. La condizione risolutiva, invece, produce un risultato ulteriore, ossia quello della retroattività reale: al verificarsi dell’inadempimento, cioè, il contratto viene meno con effetti retroattivi opponibili anche ai terzi, e ciò per volontà di legge (art. 1360 c.c.). In sostanza dunque, apponendo la condizione risolutiva dell’inadempimento da parte di Caio all’obbligazione di pagare il residuo entro un dato termine, l’eventuale inadempimento comporterà risoluzione integrale della prima vendita, con automatico ritrasferimento a Tizio opponibile anche ai terzi. Tizio pertanto potrà rivolgersi a chiunque con l’azione di rivendica per ottenere la restituzione del bene. Chiaramente, trattandosi di immobili, la condizione risolutiva, per essere opponibile a terzi, deve trovare evidenza nei registri immobiliari (art. 2659, ultimo comma, e art. 2655, primo comma, c.c.). Con questo strumento dunque si ottiene lo scopo di “garantire il ritrasferimento” senza alcun rimedio giudiziale e senza pericolo di acquisizioni di terzi.
Vediamo, allora, se tale strumento può considerarsi legittimo.
Nelle recenti elaborazioni di dottrina e giurisprudenza, si ritiene di poter dedurre l’inadempimento ad oggetto di una vera e propria condizione risolutiva. Ciò avviene soprattutto nei contratti con pagamento dilazionato del prezzo, a garanzia del venditore, il quale si avvale dell’utilità della tutela reale del fenomeno condizionale. L’impostazione tradizionale riteneva non si potesse dedurre l’adempimento, elemento doveroso della fase attuativa del contratto, ad oggetto della condizione, elemento estrinseco, per sua natura incerto. L’adempimento cioè non potrebbe essere oggetto di una vera e propria condizione perché difettoso, appunto, dell’elemento dell’accidentalità e dell’estrinsecità, essendo anzi esso, in quanto doveroso, certo sotto il profilo della coercibilità. Con particolare riferimento alla condizione risolutiva d’inadempimento, si è osservato che l’inadempimento di una delle prestazioni, nel contratto a prestazioni corrispettive, costituisce un difetto funzionale della causa: per tale difetto è già previsto il rimedio della risoluzione; tra gli strumenti convenzionali, la legge già predispone la c.d. clausola risolutiva espressa per inadempimento, in virtù della quale la parte interessata può, con una dichiarazione, provocare la risoluzione del contratto (art. 1456), e questo meccanismo, sprovvisto di retroattività reale (art. 1458, secondo comma, c.c.), è il massimo consentito dall’ordinamento.
La più recente giurisprudenza della Cassazione, accogliendo le osservazioni di altri autori, ammette la condizione sospensiva di adempimento, e la condizione risolutiva d’inadempimento. Si afferma, nelle varie occasioni in cui è stata affrontata la questione, che l’adempimento può essere impiegato come evento che. a garanzia delle parti, condiziona l’efficacia del negozio. Viene utilizzata, a tal fine, la distinzione proposta in dottrina tra momento programmatico e momento esecutivo nella dinamica del contratto: nella prima fase un soggetto, con la dichiarazione negoziale, programma il raggiungimento di un determinato risultato; nella seconda fase, logicamente successiva rispetto alla prima, avviene il raggiungimento del risultato. Soltanto per il momento programmatico opera il principio secondo cui la prestazione non può essere assunta in condizione, essendovi inconciliabilità tra obbligo e con dizione. Inoltre, la condizione risolutiva di inadempimento non tocca il profilo funzionale della causa, né altera il sinallagma. Anzi lo rafforza ponendo un ulteriore nesso tra le prestazioni. Quanto al venditore/creditore, secondo alcuni, verificatosi l’inadempimento e persi gli effetti del contratto, sarebbe pregiudicato non avendo un titolo efficace in forza del quale agire. Al riguardo può osservarsi che la condizione in oggetto ha carattere unilaterale, deducendosi un evento di interesse esclusivo di uno solo dei contraenti: quest’ultimo pertanto ha la facoltà di rinunziare, sia prima che dopo l’avveramento o il non avveramento, ad avvalersi del meccanismo condizionale. Così il creditore, in caso di inadempimento, potrà a sua scelta giovarsi dell’effetto risolutivo della condizione di inadempimento, così riottenendo la proprietà del bene alienato, ovvero potrà rinunciare alla condizione e chiedere l’adempimento, salvo il risarcimento del danno.
Veniamo ora alla seconda richiesta: l’incameramento della caparra in caso di mancato pagamento
Come ottenerlo?
Al verificarsi della condizione risolutiva, il contratto viene travolto e con esso anche le pattuizioni accessorie, come la caparra: a che titolo può trattenersi dunque la somma versata?
Occorre considerare, al riguardo, che qualsiasi inadempimento è idoneo, comunque, a produrre un danno. La caparra confirmatoria ha, tra le sue funzioni, anche quella liquidativa del danno in via forfettaria, a dimostrazione del fatto che la risoluzione non fa venir meno ed anzi legittima la ristorazione di un danno subito dalla parte non inadempiente. La risoluzione integrale del contratto, però, travolge anche tale pattuizione accessoria, che non può rendersi autonoma dalla compravendita sottostante, in quanto ad essa funzionalmente ed unilateralmente collegata: la caparra non ha alcuna causa se viene meno il contratto principale, in quanto essa ha proprio lo scopo principale di “confermare” l’esistenza di esso. La somma immediatamente versata risulta, pertanto “indebita” per effetto del venir meno del patto.
Potrebbe ricorrersi, allora, a una clausola penale (art. 1382 c.c.).
Secondo la dottrina, infatti, la clausola penale è negozio autonomo e non accessorio ad altro negozio c.d. principale. E’ possibile cioè prevedere una penale la cui causa consiste nell’attuazione dello scopo di sanzionare l’inadempimento, affrancandola dal contratto principale. Lo scopo pratico di grande rilevanza è proprio quello di predeterminare l’ammontare del danno, e quindi in casi come quello in oggetto rendere superfluo il ricorso all’autorità giudiziaria per quantificarlo ed ottenerne la liquidazione. Come è stato felicemente osservato, ciò risponde all’intento delle parti, che perseguono scopi diversi con il contratto principale, da un lato, e la clausola penale, dall’altro. E’ vero, precisiamo, che per effetto dell’inadempimento il contratto è risolto retroattivamente; non è men vero però che l’inadempimento stesso non è un elemento retroattivamente eliminato, ma è proprio l’evento esterno che determina la risoluzione, per cui esso continua ad esistere, fattualmente e giuridicamente, e può legittimare il risarcimento del danno. Se la caparra non ha alcun senso ove venga meno il contratto principale, non è così per la penale, che ha funzione comunque autonoma, anche se collegata a quella del contratto. Se così non fosse, del resto, dovrebbe ritenersi inammissibile anche la richiesta giudiziale del risarcimento danni per il solo fatto che si è risolto il contratto; il risarcimento, invece, non deriva dal contratto risolto, ma dal fatto dell’inadempimento, ed è innegabile che tale fatto determini una responsabilità contrattuale e non extracontrattuale, non potendosi eliminare il rilievo giuridico di un contratto per il sol fatto che si sia verificata una condizione risolutiva ad esso apposta.
In definitiva la soluzione che mi pare più aderente alle richieste della traccia è un contratto definitivo di compravendita, con contestuale versamento di Euro 150.000 a titolo di caparra confirmatoria, e dilazione di pagamento per Euro 1.350.000, sottoposto a duplice condizione:
– Condizione sospensiva legale del mancato esercizio della prelazione di cui all’art. 59 Codice dei Beni Culturali;
– Condizione risolutiva del mancato adempimento del compratore all’obbligazione di pagare il residuo prezzo,
e con la previsione di una clausola penale esattamente pari ad Euro 150.000 per il caso di inadempimento, con previsione che la somma versata a titolo di caparra confirmatoria alla data della stipula potrà essere trattenuta a tal titolo di penale al verificarsi dell’inadempimento e della risoluzione del contratto.
Un’ultima notazione riguarda le possibili interferenze tra la fattispecie costruita ed il divieto del Patto commissorio (art. 2744 c.c.). Tale divieto, come noto, sanziona di nullità il patto con cui si preveda il trasferimento della proprietà del bene in caso di inadempimento. Esso mira ad evitare abusi da parte del creditore ed a tutelare la serenità del debitore nel momento in cui si obbliga, impedendogli di assumere il gravoso obbligo di trasferire la res concessa in garanzia per il caso di inadempimento. La giurisprudenza recente ha adottato un’interpretazione estensiva del divieto, ritenendolo applicabile a tutti i casi in cui si possano verificare gli effetti scongiurati dal patto, a prescindere dalla sussistenza di un effetto traslativo immediato, e quindi ai casi di patto c.d. con effetti reali, patto c.d. con effetti “obbligatori”, con condizione sospensiva o risolutiva, con patto di retrovendita ecc.
Il caso di specie, in effetti, prevede pattuizioni in forza delle quali Caio acquista con dilazione di pagamento, in qualche modo dunque con un vantaggio finanziario, e con la previsione del ritrasferimento in caso di inadempimento.
Mi sento di escludere però qualsiasi interferenza: nel contratto non emerge alcuna funzione “finanziaria” in senso stretto; Tizio non pretende alcun interesse per la dilazione di pagamento, non c’è un vero e proprio finanziamento; la traccia inoltre non chiede alcuna garanzia reale sul bene, anche se vi sono i presupposti per l’ipoteca legale (art. 2817 c.c.); inoltre, Caio acquista il bene da Tizio, e quest’ultimo vuole soltanto tutelare la propria aspettativa di adempimento, non si verifica alcuna pressione indebita su Caio. Proprio valorizzando l’analisi caso per caso cui allude la giurisprudenza di legittimità, non mi sembra vi sia alcuna possibile interferenza con il divieto.